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Sandor Marai - Truciolo - Adelphi

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Sandor Marai è uno di quei gli scrittori che prendono per mano il lettore e lo accompagnano un po’ dove pare a loro.

Prendiamo ad esempio questo libro, Truciolo.  A chi abbia letto  “Le Braci” o “L’eredita di Ester” sembra quasi un passatempo, quattro pagine buttate là da un grande scrittore giusto per scrivere qualcosa. Nelle prime pagine infatti il tono e la narrazione sono leggeri, privi della abituale gravità nelle atmosfere e nei contenuti a cui Maraj ci ha abituati con i suoi precedenti libri: si parla dell’arrivo di un cagnolino all’interno di una famiglia piccolo borghese di Budapest e di tutti i cambiamenti che questo arrivo comporta. La famiglia si adatta alla nuova presenza con una disponibilità per certi versi sorprendente, mentre il cagnetto inizia la propria esperienza esistenziale conoscendo e scoprendo giorno dopo giorno le prospettive a cui non era preparato. La narrazione si alterna tra il punto di vista del padrone di Truciolo e quello dello stesso Truciolo: il primo tratta il cane come una sorta di giovane scapestrato che vuole conoscere un mondo per lui nuovo, facendo fatica ad adattarsi alle sue regole. L’altro affronta questa novità rappresentata dal macrocosmo del condominio nel quale abita come un’occasione di conoscenza continua.

L’intero sviluppo del libro prosegue con leggerezza anche se un po’ alla volta iniziano a spargersi qua e là alcuni indizi che lasciano intendere che la conclusione non sarà per nulla leggera, e il dramma è dietro l’angolo. E infatti l’ultimo capitolo consegna un senso all’intera narrazione molto più in linea con il pensiero dell’autore, e il lettore chiuderà l’ultima pagina della lettura con quel sottile senso di ansia e desolazione a cui Marai ci ha abituati.

Cormac Mc Carthy - Non è un Paese per Vecchi - Einaudi

Cormac Mc Carthy - Non è un paese per ve

L’ambientazione di questo libro è il Texas e ruota attorno a una grossa somma di denaro di cui un uomo, testimone di un regolamento di conti tra narcotrafficanti, si appropria. Da lì inizia una vicenda corredata di omicidi in serie, nella quale lui cerca di fuggire ai narcotrafficanti che vogliono il denaro e a un killer – Anton Chigurh – che è il vero protagonista della storia. In tutto questo lo sceriffo della contea Ed Tom Bell cercherà, inutilmente, di risolvere il mistero degli omicidi e di salvare il fuggiasco dalla morte.

Il sentimento che accompagna il lettore di questo libro (diventato anche un successo cinematografico grazie al film dei fratelli Cohen, vincitore di 4 premi Oscar nel 2008), è di irrimediabilità. Si vive cioè la sensazione di essere immersi in un mondo implacabile e privo di regole, popolato e diretto da un assassino, Chigurh, che uccide senza alcuna apparente emozione, che non si fa catturare, che non si ferma davanti a nulla.

Eppure Chigurh ha delle regole, ferree a modo loro, e le rispetta scrupolosamente. Sono regole difficilmente digeribili, che contengono una buona dose di inaccettabilità e scandalo, ma sono pur sempre regole.

È come se – trasposto nella vita di ciascuno di noi – il ruolo che ricopre questo assassino fosse quello degli istinti. Talvolta odiosi e insopportabili, ma sempre insopprimibili e pronti a distruggere qualsiasi costruzione razionale e ragionevole, rimangono in attesa, pronti a dettare le proprie leggi a cui nessuno – nemmeno le menti più belle ed evolute – può sottrarsi.

Alan Bennett - La Pazzia di Re Giorgio - Adelphi

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Alan Bennett compone questa opera teatrale che debutta a Londra nel 1991.

Pochi anni dopo la perdita delle colonie americane Re Giorgio III manifesta evidenti segni di squilibrio mentale. Il mondo attorno a lui comincia a muoversi per la sua sostituzione, a partire dal figlio primogenito (il Principe di Galles Giorgio IV di Hannover) che scalpita per prendere il posto del padre una volta che questo sarà stato dichiarato incapace di gestire il trono.

Intanto attorno a Re Giorgio (che intanto è stato forzosamente separato dalla moglie, verso la quale nutre una specie di bizzarro affetto) si muove tutto un microcosmo di politici, familiari ma soprattutto di medici, che adottano terapie più o meno dolorose e più o meno bizzarre, ma tutte ugualmente inefficaci, mentre chi sembra voler stare vicino al sovrano sofferente in modo più disinteressato sembrano essere i suoi valletti e i suoi servi.

Alla fine così come l’aveva perso, Re Giorgio un po’ alla volta recupera il senno e torna a governare, mentre si scopre che i suoi problemi non erano derivati da una malattia mentale ma dalla porfiria, una malattia rara che causa un accumulo di porfirina nel sangue con conseguenti disfunzioni, tra le altre anche mentali.

Il tono con cui questa commedia viene scritta è quello tipico di Bennett, leggero e ironico, ed è particolarmente interessante la prima parte del libro - quella che precede la commedia vera e propria - in cui Bennett spiega come gli sia venuta l’idea del soggetto e racconta come si sia evoluto il processo di scrittura.

Cormac Mc Carthy - La Strada - Einaudi

I libri di Mc Carthy riescono a comunicare un senso di claustrofobia indipendentemente da dove siano ambientati. Questa storia si svolge in larga parte all’esterno come il titolo stesso lascia intendere, eppure l’asfissia, l’attesa ansiosa di qualcosa di terribile che potrebbe avvenire aggiungendosi a una situazione già di per sé di tremenda, non abbandona il lettore fino all’ultima pagina.

Un padre e un figlio stanno cercando faticosamente di arrivare a una situazione di minore pericolo rispetto a quella che stanno vivendo, e per fare ciò devono attraversare un’America spettrale e quasi disabitata. Il mondo è stato sconvolto da un evento catastrofico, che ha distrutto buona parte dell’umanità ma soprattutto qualsiasi tipo di contratto sociale tra le persone, e la violenza e il rischio di morte sono dietro ogni curva, ogni angolo o ogni rudere di casa. Più in piccolo, nel loro microcosmo familiare, è ugualmente venuto meno qualsiasi patto e qualsiasi tabù, con la perdita della madre che si è lasciata morire in uno stato di assoluta indifferenza verso ogni forma di amore, anche come genitore.

Il racconto è condotto magistralmente da Mc Carthy, la lettura è sgradevole quanto ipnotica, l’epilogo unisce morte e speranza: il padre non sopravvivrà alla strada, ma riuscirà ad accompagnare il figlio fin dove è possibile, fin dove esiste un barlume di sicurezza e il pericolo non è più imminente, come metafora del ruolo genitoriale che ognuno si trova a dover assolvere una volta che decide di assumerlo.

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Una sfida a chi ha letto questo libro già una volta, e magari è poi diventato genitore: rileggetelo. Il sapore sgradevole rimarrà, ma si aggiungeranno retrogusti nuovi e inattesi, che nella migliore delle ipotesi sapranno di ineluttabilità e giustizia.

Yasushi Inoue - Vita di un Falsario - Skira Edizioni

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Skira è una piccola casa editrice italo svizzera di libri d’arte. Ha anche una piccola sezione di libri di narrativa, tra i quali si trova “Vita di un Falsario” di Yasushi Inoue, che è innanzi tutto un piccolo capolavoro su un piano strettamente estetico e strutturale. Copertina rigida, bellissima immagine, carta di pregio.

Sul piano squisitamente narrativo la struttura del racconto è per certi versi sorprendente. Inoue ha un po’ l’abitudine a suddividere i suoi libri in parti ben definite, il più delle volte tre. Lo si è visto con “Il Fucile da Caccia”, lo stesso avviene in “Amore”, e come si vedrà anche in “Memorie di Mia Madre”. Qui invece l’intero racconto si sviluppa su un solo capitolo. La maestria ovviamente è la solita, come di consueto Inoue mostra una capacità descrittiva priva di eccessi espressivi indipendentemente dal tema di cui si occupa: il lettore non è mai aiutato a percepire emozioni dall’utilizzo di scelte linguistiche sopra le righe, ma trae semmai l’emozione dal contenuto, e viene accompagnato in modo – si perdoni il paradosso – silenzioso dall’autore lungo lo sviluppo della narrazione come se stesse visitando un palazzo pieno di stanze talmente belle da essere in grado di descriversi da sole.

La vicenda è in sé semplice: l’io narrante è un critico d’arte cui viene commissionata la biografia di un pittore giapponese – Onuki Keigaku - morto qualche anno prima, nel 1938, per comporre la quale egli dovrà cercare le sue opere sparse un po’ per il Giappone.

Lo scoppio della guerra interrompe la scrittura dell’opera, che viene ripresa solo dopo il 1945. Contemporaneamente però lo studioso sviluppa un crescente interesse per il falsario delle opere di Omuki Keigaku, e un po’ alla volta le sue indagini, le sue ricerche e le sue riflessioni saranno sempre più dirette a questo oscuro personaggio – Hara Hosen – e al destino non particolarmente benevolo nei suoi confronti. Accanto a questo interesse si sviluppa una sorta di affetto, una empatia per la vicenda umana di una persona che ha vissuto di espedienti e che è tornato a morire nel villaggio in cui era nato, abbandonato dalla moglie e dedito al traffico clandestino di fuochi artificiali. Ed è proprio la compassione umana, quasi l’affetto, nei confronti di una persona nella fase calante della sua esistenza la vera trama che tesse il racconto, mentre le vicende del pittore di successo un po’ alla volta si perdono nello sfondo, mentre lentamente si delinea questo tardivo risarcimento per un falsario sfortunato.

Raymond Carver - Di Cosa Parliamo Quando Parliamo d'Amore - Minimum Fax

17 racconti, bellissimi e splendidamente costruiti. “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” è il primo successo di Carver, uscito nel 1981, che fece conoscere uno stile minimalista ed essenziale che in realtà a Carver non apparteneva del tutto. Gran parte del merito di questo stile è in realtà dell’editor di Carver, Gordon Lish, che ridusse al minimo lo sviluppo di buona parte dei racconti, scatenando oltretutto la rabbia dello stesso Carver che non avrebbe voluto questa operazione, che definì una sorta di amputazione utile a fare entrare i suoi racconti in una scatola “in modo che il coperchio si chiuda bene”.

Si impongono a questo proposito tre considerazioni. La prima è che indubbiamente uno degli elementi caratteristici di alcuni di questi racconti è il senso di frustata che comunicano al lettore, e in questo senso lo stile minimalista aiuta. La seconda considerazione riguarda il fatto che il ruolo di un editor è spesso poco pubblicizzato, ma non è infrequente che intervenga in modo importante sulla struttura degli scritti, per cui non c’è da scandalizzarsi del suo ruolo anche in questo caso.La terza e più importante considerazione è che i pregi della scrittura di Raymond Carver sono molti altri: in questa raccolta di racconti ce ne sono almeno due, apparentemente opposti: il primo è la capacità di giocare in modo poderoso sul sottinteso.

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Il secondo consiste nella capacità opposta, quella di narrare i dettagli di una conversazione con la capacità di riportarne lo sviluppo letterale, narrandone tutti i minimi aspetti senza che il lettore si perda. Un esempio di questa capacità formidabile è nel racconto che dà il titolo al libro: due coppie si trovano attorno a un tavolo prima di andare a cena, a bere gin e acqua tonica. Bevono, fumano e soprattutto discorrono dell’amore, eventi passati, rapporti attuali, progetti, mentre i discorsi si avvitano su se stessi man mano che sale il tasso alcolico.

E la capacità del sottinteso? Un suo esempio è nel primo racconto, “Perché non ballate?”, nel quale la semplice svendita dell’arredamento di casa di un enigmatico personaggio a due ragazzotti racconta - senza mai parlarne - di una vita perduta e priva di speranza, enfatizzata dalla totale inconsapevolezza con cui i due ragazzi acquistano gli oggetti dell’arredamento e poi commentano la vicenda. Un accenno di luce sembra sfiorare la ragazza alla fine del racconto, ma è solo un’illusione: “non smetteva di parlarne. Lo raccontava a tutti. C’era qualcos’altro da dire e lei tentava di tirarlo fuori. Ma dopo un po’, smise di provarci”.

Stig Dagerman - Il Nostro Bisogno di Consolazione - Iperborea

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Questo libretto di dimensioni minime contiene quattro micro racconti di Stig Dagerman, e una sarcastica poesia (Attenti al cane), che l’autore poco più che trentenne consegnò al suo giornale la mattina del proprio suicidio. Dagerman ebbe una vita difficile soprattutto nei primi anni. Abbandonato dalla madre dai nonni paterni, venne ripreso dal padre anni dopo, che nel frattempo si era sposato con un’altra donna. Con il padre condivise la grande passione politica per l’anarchia.

Dagerman, che morì nel 1954, viene spesso equiparato a Camus e Kafka, ma forse impropriamente. La caratteristica che lo accompagna – e che lo differenzia dagli altri due autori – è la passionalità, la capacità di schierarsi di ogni sua riga, di ogni parola che scrive.

Nel racconto che dà il titolo alla raccolta viene affrontato il tema dell’inutilità della vita e la possibilità di contrapporle poche armi spuntate, tanto più preziose in quanto le sole a disposizione dell’uomo: la bellezza, l’amore, la gioia che dà un bambino e poco altro. Per il resto la morte è là, presente, e più ancora è presente la depressione, che “ha sette scatole, e nella settima sono riposti un coltello, una lametta da barba, un veleno, un’acqua profonda e un salto da grande altezza”, presagio della scelta che avrebbe fatto alla fine.  

Ne “L’uomo che deve morire” il tema del suicidio è trattato letteralmente e non più in forma di metafora: “per l’uomo che deve morire la morte non è una vergogna ma una missione privilegiata affidata a se stesso. Nemmeno in questi ultimi istanti rinnega la sua tendenza all’esibizione. Al tempo stesso toro, torero e pubblico…”. Meravigliosa infine è l’epigrafe che suggerisce per se stesso al termine dell’ultimo racconto, “Il viaggiatore”: “qui riposa uno scrittore svedese caduto per niente; sua colpa fu l’innocenza; dimenticatelo spesso”.

John Steinbeck - La Luna è Tramontata - Mondadori

John Steinbeck è morto il 20 dicembre di 52 anni fa, dopo aver vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1962. “La Luna è Tramontata” è uno dei suoi romanzi più amari, uscito nel 1942 nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

L’occupazione quasi senza spargimento di sangue di un piccolo paese norvegese da parte di un piccolo gruppo di soldati nazisti offre l’occasione di tracciare un affresco dell’assurdità della guerra e delle regole che la governano. Gli occupanti, interessati a una miniera di carbone nelle vicinanze del paese, cercano di instaurare un rapporto di collaborazione con la città, non sollevano il sindaco del proprio ruolo, cercano quasi di passare inosservati.

Qui però si esprime tutto il paradosso della situazione, perché un conto è la scelta dei comportamenti più o meno tolleranti, più o meno amichevoli. Un conto è il dato di fatto dell’essere un esercito invasore, il che rende impossibile un rapporto non conflittuale con gli occupati. Anzi, lo sviluppo narrativo racconta la drammatica inversione di ruoli, che pone progressivamente gli invasori nel ruolo di rabbiosi fuggitivi e gli invasi in quello di implacabili assedianti.

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Due personaggi bellissimi segnano il libro, accompagnando il lettore per l’intera lettura. Il primo di essi è il sindaco Orden, che si trova a dover trattare con l’invasore e contemporaneamente a rispettare le scelte del popolo che lo ha eletto, fino alle estreme conseguenze. Il secondo è il capo degli invasori, il colonnello Lanser, veterano della Prima Guerra Mondiale, chiaramente immerso in una situazione che non comprende e non condivide più ma al tempo stesso autentico soldato, conscio dei doveri che il ruolo gli impone e disposto a rispettarli fino alla fine.

Alberto Papuzzi - Portami Su Quello che Canta - Einaudi

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Questo è un libro atroce, a partire dal titolo.

È la vicenda giudiziaria del processo intentato a Giorgio Coda, Psichiatra che operò negli anni Sessanta presso la Certosa di Collegno (To), applicando indiscriminatamente l’elettroshock ai ricoverati, senza distinzione tra età, sesso o condizioni cliniche. Il suo soprannome era “l’elettricista”, e per sua stessa ammissione i “trattamenti” cui furono sottoposti i pazienti che avrebbe dovuto avere in cura furono oltre cinquemila.

Tra il 3 e il 12 luglio 1974 avvenne un fatto eccezionale: un processo – di cui il libro riporta la cronaca - nei suoi confronti, nel corso del quale i “matti” divennero testimoni degni di ascolto e considerazione, in molti casi per la prima volta nella loro vita. La sentenza lo riconobbe colpevole per maltrattamenti ai propri pazienti – reato aggravato dalla condizione di medico curante che ricopriva – e lo condannò a cinque anni di reclusione, all’interdizione per lo stesso periodo dalla professione medica e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Un cavillo giuridico gli permise di non scontare un solo giorno di carcere, oltre a fargli ottenere la decadenza degli effetti accessori della sentenza. La cosa non gli portò particolare fortuna: tre anni dopo, il 2 dicembre del 1977, un commando di Prima Linea (banda armata dell’epoca  collegata alle più famose Brigate Rosse) entrò nel suo studio, lo legò al termosifone e gli sparò alle gambe.

All’inizio si scriveva di come questo libro sia atroce a partire dal titolo. “Portami su quello che canta” è la frase tratta dalla deposizione di uno degli infermieri dell’ospedale psichiatrico, e riporta un ordine impartitogli da Coda, raccontando al tempo stesso la modalità con cui venivano scelte le vittime da questo medico: casualmente.

Colson Whitehead - I Ragazzi della Nickel - Mondadori

Elwood e Turner sono due ragazzi di colore che finiscono alla Nickel, una scuola – riformatorio, la Nickel Academy, che dietro la facciata di scuola modello nasconde ogni genere di nefandezza e sopruso ai danni dei ragazzi che ci vivono. La segregazione razziale è rigorosissima, la violenza sessuale e quella fisica sono all’ordine del giorno, così come la sottrazione degli alimenti destinati ai ragazzi che il direttore corrotto vende ai negozi della vicina cittadina intascandosi i corrispettivi.

Elwood e Turner alla fine riusciranno a fuggire da quell’inferno, ognuno a modo proprio, con un gioco di sostituzione di identità dai risvolti amari che si svela alla fine del libro.Whitehead ha la capacità di raccontare tutte le vicende, anche le peggiori, anche le più inaccettabili, con un tono narrativo quasi indifferente, cronachistico e monocorde, che è poi la forza della sua prosa. Rispetto alla vicenda narrata ne La Ferrovia Sotterranea manca il respiro epico della narrazione della sofferenza di una intera razza, e viene privilegiata la piccola vicenda di due ragazzini alle prese con un ambiente ostile e violento. La problematica razziale è però una costante di tutto il libro, come la voglia di fuggire di uno dei protagonisti e il desiderio di giustizia dell’altro, entrambi uniti da un rapporto di affetto che proseguirà anche dopo la Nickel Academy, per quanto a distanza.

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Ottenuta la libertà, l’indipendenza economica, un ruolo di prestigio nella società, il peso del ricordo dei danni subiti nella difficile adolescenza vissuta in quel luogo orrendo, lascia al lettore un grande senso di amarezza e di irreparabilità: certi danni, per quanto avvenuti in anni lontani, sono così profondi da imprimere nelle coscienze di chi li ha vissuti un marchio di dolore eterno.

Gianni Rodari - Grammatica della Fantasia - Einaudi Ragazzi

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Quando si affrontano argomenti che si prestano a essere in qualche modo descritti o insegnati, ci sono due approcci possibili. Il primo potrebbe essere riassunto con la formula “istruzioni per l’uso”. Si cerca cioè di elencare tutte le potenziali situazioni che possono verificarsi e si descrive come occorre comportarsi. Ovviamente è un metodo perfetto se si parla di una lavatrice, ma se si parla di argomenti un po’ più complessi non è l’ideale. Se per esempio si parla di rapporto con i bambini e la loro fantasia, è molto meglio un secondo approccio, quello che non cerca di elencare situazioni specifiche fornendo soluzioni, ma affronta aspetti di fondo e generali, in altra parole aiuta ad avere un approccio utile.

Grammatica della Fantasia è l’unica opera saggistica nell’ampia produzione letteraria di Gianni Rodari, e si dedica esattamente a questo: cerca di fornire al lettore, nella sua veste di insegnante o di genitore, alcune predisposizioni di fondo per avvicinare il materiale prezioso, delicato e prorompente che è la fantasia di un bambino: il significato del gioco o il gioco di parole, il potere creativo dell'errore, il paradosso, tutto può servire e tutto può aiutare a creare se solo lo si osserva con occhi diversi da quelli che si utilizzano normalmente.

A ben vedere il titolo è quanto di più azzeccato ci sia. Nel concetto di “Grammatica” della fantasia si svela l’intento metaforico di fornire strumenti di base (le basi grammaticali) per comprendere qualcosa del rapporto con i bambini. L’applicazione pratica (la costruzione sintattica) è invece lasciata allo specifico lavoro creativo che l’insegnante o il genitore saprà produrre con la propria sensibilità.

Nel leggere queste pagine un elemento non viene mai espressamente nominato o descritto, ma le accompagna costantemente, dall’inizio alla fine: questo elemento è il rispetto, il considerare i bambini e le loro idee come portatrici di un valore intrinseco che non si deve ledere ma va lasciato sviluppare e fiorire senza interferenze, piccoli cittadini con diritto di parola e di espressione, e questa è una delle basi per creare adulti pensanti e curiosi.

Stephen Markeley - Ohio - Einaudi Stile Libero

Il funerale di un ragazzo poco più che ventenne morto in Iraq durante la Guerra del Golfo è il punto di partenza di una vicenda in cui 4 suoi coetanei, ex compagni di college, si dividono equamente la scena, raccontando la propria visione degli anni passati, le proprie ferite e la personale inquietudine per il futuro; il tutto nello sfondo di un paese della profonda provincia americana, perso all’interno dello Stato che dà il titolo al libro.

La sensazione che accompagna l’intera lettura di questo lungo libro è di densità, di opulenza, e la cosa colpisce ancora di più considerando che il libro non è breve (538 pagine). Eppure Markeley non cede, compone la propria opera senza cali di ritmo, senza diminuire la ricchezza delle immagini, la cui potenza evocativa è costante.

Proprio in questo punto di forza, in questa estrema ricchezza di immagini e evocazioni, si nasconde anche il principale elemento di perplessità che suscita questo libro. In Amadeus – il film di Milos Forman dedicato a Mozart – la sceneggiatura fa pronunciare a Antonio Salieri, che di Mozart era invidioso nemico, un commento sulle opere del giovane collega: “troppe note….”.

In quel caso era evidente come ci si trovasse di fronte a un tentativo maldestro di trovare dei difetti al Genio creativo per definizione.

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Eppure quella critica, con il dovuto rispetto, riecheggia nella mente anche leggendo questo libro. Un libro è più godibile da parte del lettore nel momento in cui alterna momenti intensi e momenti di respiro, pagine irripetibili e pagine che scorrono leggere.

Una tale dote in questo libro di Markeley manca. Visto il panorama delle pubblicazioni mediamente reperibili il primo pensiero è “avercene di libri con questi problemi….”, però la riflessione resta.

Raymond Carver - Vuoi Star Zitta per Favore? - Minimum Fax

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Nella vita di un lettore si incontrano vari stili, e ovviamente se ne predilige qualcuno rispetto ad altri.

Se per caso tra gli stili preferiti c’è il racconto, Raymond Carver è un punto di arrivo, e ogni appuntamento con un suo scritto viene vissuto con un’emozione del tutto particolare. L’inevitabile esito dopo un suo libro, nel chiudere l’ultima pagina, è racchiuso in una domanda, “e ora cosa leggo?”, con la consapevolezza che difficilmente ci si potrà imbattere in qualcosa dello stesso livello, a meno che non sia ancora di Carver.

In questo libro ci sono 22 racconti. Le tematiche sono quelle tipiche, inconfondibili di questo scrittore (ma forse è più corretto dire della narrativa breve americana): persone quasi come noi, con vite quasi normali, in cui si inserisce la piccola dissonanza, il piccolo paradosso, la contraddizione o l’elemento di desolazione che colora un po’ alla volta tutta la vicenda.

E poi la costante sensazione di attesa. C’è in tutti i racconti, ma ce ne sono alcuni in particolare come "Grasso", "Ventiquattro Ettari", "Creditori" oppure "La Moglie dello Studente" che si leggono aspettando, sentendo montare qualcosa di indefinito, l’attesa per un evento che dia un senso alla vicenda. Poi il racconto finisce e si comprende che ancora una volta Carver il senso lo ha disseminato nell’atmosfera delle pagine, in un modo talmente magistrale che non ha bisogno di essere raccontato in modo esplicito. C’è, è lì, e tanto basta.

Edward Bunker - Come una Bestia Feroce - Einaudi Stile Libero

Max Dembo esce di galera in libertà vigilata. La sua intenzione è quella di rifarsi una vita, eliminare il crimine dalla sua quotidianità, darsi a un lavoro onesto. Le sue origini però lo inseguono, nei suoi vecchi amici, che cerca e trova per avere un sostegno economico, nell’ostracismo da parte del Garante della libertà vigilata (una figura che non esiste nell’ordinamento italiano e che negli Stati Uniti si occupa di controllare le prime fasi del rilascio di un detenuto), e nella sua indole, autenticamente, onestamente e irrimediabilmente criminale. In un crescendo magistrale il protagonista passerà dall’incantata riscoperta della libertà a un finale da criminale fuggiasco, lo status per lui più naturale.

La sensazione che accompagna la lettura di queste pagine è quella di un turbine che cresce lento e inesorabile e che prende il protagonista, nonostante le sue migliori intenzioni. L'ineluttabilità del destino alla fine vincerà sulle migliori intenzioni di cambiamento. Anche qui, come già era successo nella lettura di "Educazione di una Canaglia" (vedi sotto), la celebrazione del Rito della Notte, descritto come solo Edward Bunker è capace di fare.

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Alan Bennett - La Cerimonia del Massaggio - Adelphi

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La vicenda si svolge integralmente nel corso di un funerale.

Il morto è Clive Dunlop, affermato, apprezzato e amato massaggiatore dai gusti sessuali variegati, cui i presenti – officiante incluso - rendono omaggio per la straordinaria competenza non solo in ambito decontratturante che ha elargito ai molti clienti, maschi o femmine che fossero.

Il protagonista assoluto è Clive, anche se non fa nulla, essendo morto. Gli attori agenti sulla scena sono invece due prelati: padre Jolliffe, l’officiante, e l’arcidiacono Treacher, inviato dalla Commissione anglicana a controllare la regolarità della funzione.

Funzione che si sviluppa trasformandosi un po’ alla volta da evento mondano a racconto intimo di coloro che hanno avuto modo di conoscere Clive nelle sue molteplici competenze. Padre Joliffe cerca di dirigere con goffa solerzia gli interventi dei presenti, mentre l’arcidiacono Treacher accumula appunti da sottoporre alla Commissione per le inevitabili reprimende.

Bennett è magistrale nella progressione del racconto, la cui narrazione rimanda a un testo teatrale. Emerge qui la sua grande capacità di cambiare atmosfera in un set che non si modifica esteriormente per l’intera vicenda, ma che cambia progressivamente registro man mano che la situazione sfugge dal controllo di padre Joliffe e i componenti del pubblico pretendono il proprio spazio per ricordare, raccontare e magnificare Clive.

Irvin D. Yalom - Fissando il Sole - Beat Bestseller

Questo libro del grande psichiatra e psicoterapeuta americano è fondamentale, non soltanto per chi si occupa professionalmente di salute mentale. Il tema infatti riguarda tutti, ed è la paura della morte.

Sul piano teorico Yalom introduce una interessante riflessione. Egli infatti afferma come – nonostante in Freud la paura della morte abbia un ruolo importante – per la successiva tradizione psicoanalitica la manifestazione di tale paura non sia stata affrontata per sé, ma sempre come riflesso di altre paura dell’inconscio, l’abbandono o la castrazione soprattutto. Per Yalom è invece va indagata la letteralità di questa paura, il suo significato primario della fine ineluttabile di ognuno di noi, poiché questo significato da solo è più che sufficiente a generare disagio.

Cruciale sotto questo punto di vista è il concetto delle cosiddette “esperienze di risveglio”, cioè quei fatti biografici che nel verificarsi ci avvicinano alla percezione della ineluttabilità della morte: una malattia, un incidente potenzialmente mortale a cui sopravviviamo, un figlio che se ne va, il pensionamento, l’incontro con un amico che non vediamo da decenni, sono tutti episodi che ci permettono di percepire la morte al di là della consapevolezza razionale, facendocela sentire nella pelle. E questo genera disagio e dolore, e naturalmente paura.

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Come è possibile accettare questo evento definitivo? Il percorso suggerito da Yalom parte da un assunto importante: una buona morte segue normalmente una buona vita: occorre quindi riuscire a dare pienezza alla propria esperienza esistenziale. Un ulteriore elemento riguarda l’immagine suggestiva dei cosiddetti “cerchi nell’acqua”:  un segno della propria esistenza lasciato nei confronti delle persone che ci sono state care, ma anche di tante persone magari non vicinissime a noi che però abbiamo raggiunto nel corso della nostra vita con le nostre parole e il nostro esempio influendo, magari in misura minima, sul loro modo di sentire e pensare. Un ultimo elemento risiede negli insegnamenti della scuola di Epicuro che si strutturano nelle tre argomentazioni relative a. alla mortalità dell’anima (l’anima perisce con noi), b. al nulla ultimo della morte (dove ci sono io non c’è la morte e dove c’è la morte non ci sono più io), e infine c. nel concetto della simmetria (il non essere dopo la morte è simile a quello prima della vita). Singolare, a proposito di Epicuro e dell’importanza delle sue riflessioni, come a proposito di un argomento come la morte nel XXI secolo valgano ancora le considerazioni di un filosofo del 300 a.c.

Insomma, un libro denso, di lettura agevole (non è il caso di definirla “gradevole”, visto l’argomento) e sicuramente in grado di sollecitare riflessioni su un tema costantemente soggetto a rimozione, fintantoché le vicissitudini dell’esistenza non gli permettono di presentarsi alla coscienza, con tutta la sua forza devastante.

Alan Bennett - La Signora nel Furgone - Adelphi

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In questa storia dolce / amara Bennett racconta scandendola lungo vent’anni, la storia un po’ paradossale, un po’ comica ma dall’epilogo amaro del suo rapporto con la strana signora Shepherd (sempre se era quello il suo nome, a un certo punto l’autore comincia a nutrire dubbi al riguardo), e dello zozzo furgone in cui questa abitava nel giardino di lui.

Tante piccole vignette scandite in base alla data (“Marzo 1974”, “Febbraio 1983” ecc.), scambi di battute, comportamenti eccentrici e progetti strampalati che questa signora condivide con il suo ospite, talvolta divertito, spesso infastidito e qualche volta realmente inviperito per l’anarchica irrazionalità dei comportamenti di lei.

Eppure il rapporto prosegue e il furgone, per vent’anni, staziona all’entrata del vialetto di casa dello scrittore, costringendo chiunque voglia accedere alla casa a faticosi equilibrismi, ma nonostante gli scontri saltuari e le difficoltà costanti che la strana coinquilina crea a Bennett, noi lettori non abbiamo mai il dubbio che lui stia progettando di mandarla via, o di liberarsene. Ci penserà la natura.

Nelle ultime pagine il registro narrativo cambia, e Bennett inizia la propria mini indagine per ricostruire la vita della signora Shepherd, con latente il rammarico di non essersene mai occupato mentre lei era in vita. E a quel punto la curiosità che emerge dalle notizie che egli recupera da più fonti si unisce al rammarico di non poterla più soddisfare.

Gli Scrittori Criminali negli Stati Uniti del XX Secolo

Una minicorrente letteraria di grande interesse è quella costituita dai cosiddetti scrittori criminali. In particolare, negli Stati Uniti, i più conosciuti sono 3.

Si tratta di Jack Abbott (1944 – 2002), Caryl Chessmann (1921 – 1960) e Edward Bunker (1933 – 2005). Ciò che è costante nelle loro vicende – forse paradossale, forse no – è il fatto di essere stato aiutati a sviluppare la propria vena creativa grazie alla lunga permanenza in carcere.

Jack Abbott per esempio vi ha passato la maggior parte della propria vita, prima per reati minori, poi per l’omicidio di un altro detenuto. La sua passione per la scrittura unita a grandi capacità, lo hanno fatto entrare in contatto con Norman Mailer, che lo ha aiutato a pubblicare il suo libro più importante, “Nel Ventre della Bestia”, che ebbe un impatto formidabile nella cultura dell’epoca in America e non solo e contribuì a fargli ottenere la libertà sulla parola. Appena sei settimane dopo essere uscito di prigione, Abbott uccise un cameriere durante una lite, e venne rinchiuso nuovamente in prigione dove morì suicida nel 2002.

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Caryll Chessmann ha vissuto una vicenda in parte diversa. Anche lui incallito delinquente fin dalla più tenera età, nonostante buone capacità scolastiche, venne arrestato con l’accusa di essere “il bandito della luce rossa”, un violentatore che fermava le coppie utilizzando un lampeggiante simile a quello della polizia. Il processo fu controverso e pieno di irregolarità, a Chessmann venne proposto di dichiararsi colpevole e ottenere una semplice pena detentiva, si impuntò, volle andare in giudizio e difendersi da solo. Venne condannato a morte grazie alla “legge del Piccolo Lindbergh” che prevedeva la pena di morte per rapimento a fine di violenza anche in mancanza di omicidio. In carcere nel braccio della morte scrisse il suo romanzo più famoso (“Cella 2455, Braccio della morte”), in cui ha raccontato la propria vita e la successiva battaglia legale per sopravvivere, un vero best seller mondiale negli anni Cinquanta. Dopo dodici anni di battaglie legali, il 2 maggio 1960 venne giustiziato.

Edward Bunker è invece l’esempio del successo. Criminale incallito e tutto sommato mai pentito, ha affiancato la passione per il crimine a quella per la scrittura. Ciò gli ha permesso di scrivere parecchi libri di successo (tra i quali la propria autobiografia “Educazione di una Canaglia”) e – una volta scontati i propri anni di reclusione – diventare un apprezzato scrittore, sceneggiatore e attore (ha lavorato con Dustin Hoffmann e recitato nel film “Le Iene” di Quentin Tarantino), morendo infine di malattia nel 2005.

Le loro vicende umane - estremamente significative di un’epoca - ripropongono come la loro scrittura gli elementi alla base della vita: lotta, trasgressione, rischio e ingiustizie (inflitte o subite). Il tutto ovviamente con l’aggiunta di costanti violazioni della legge.

Nei tre interventi che seguono qui sotto verranno recensite le loro tre principali opere.

1. Edward Bunker - Educazione di una Canaglia - Einaudi Stile Libero

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L’autobiografia di Edward Bunker racconta molto di un clima e di un epoca. Descrive la malavita nella zona di Los Angeles e Hollywood senza finzioni perché vissuta da dentro e non narrata da osservatore.

In tutto il libro si ha la sensazione di bivio costante, e di come alla fine non siamo noi che scegliamo ma la nostra indole che ci accompagna lungo la strada a noi più confacente. In questo senso Bunker sceglie con orgoglio e naturalezza la strada del crimine. Grazie a una propensione innata verso la devianza, conquista vari “record” (detenuto più giovane nei riformatori, poi a San Quintino), ma riesce sempre a mantenere una curiosità estrema per tutti gli aspetti della vita, compresa la scrittura e compreso ovviamente il crimine.

La sua descrizione della vita notturna di Los Angeles e Hollywood è qualcosa di più del semplice elenco di ciò che avviene nei locali o per strada, è quasi la narrazione di un rito che si consuma dal tramonto all’alba, che ogni volta non si sa cosa porterà. Una narrazione che eccita il lettore e lo trasporta verso mondi appena immaginabili, tanto terrorizzanti quanto attraenti.

L’epilogo è il lieto fine: oltrepassata la soglia dell’età della ragione, abbandonato il crimine, ottenuta la fama dalla propria capacità di narrare storie, sceneggiatore di Quentin Tarantino e autore di successo, attore con Dustin Hoffman, Edward Bunker riesce a vivere le proprie giornate un po’ grato e un po’ sorpreso di una ritrovata tranquillità, tra richieste di autografi su copie dei suoi libri e riprese di film a cui partecipa. E tutto questo comunica un senso di indefinita pace.

2. Caryl Chessman - Cella 2455 Braccio della Morte - Baldini Castoldi

La vicenda è quella di Caryl Chessman condannato a morte nel 1948,  che lottò per 12 anni nel braccio della morte per avere salva la vita. Era accusato essere il “bandito della luce rossa”, autore di rapine, sequestri di persona e violenze sessuali. Chessman venne condannato a morte pur in assenza di omicidi a causa della “legge Lindbergh”, approvata dopo l’uccisione del figlio di due anni dell’aviatore Charles Lindbergh, che puniva con la pena capitale anche il solo rapimento.

Chessman decise di intraprendere due sfide. Pur essendogli stato assicurato da parte dell’accusa che se si fosse dichiarato colpevole sarebbe stato condannato a una semplice pena detentiva, decise di rifiutare l’accordo e si dichiarò innocente, accettando di correre il rischio di una condanna a morte. Inoltre decise di difendersi da solo, sfidando il detto “chiunque si difende da solo ha uno sciocco come cliente”.

Dopo la condanna iniziò la propria battaglia legale per aver salva la vita a colpi di ricorsi e richieste di revisione fino al 2 maggio 1960, quando venne giustiziato proprio nel momento in cui era arrivato un ennesimo rinvio. Fu però impossibile interrompere l’esecuzione perché l’apertura della camera a gas per salvarlo avrebbe messo a rischio la salute dei testimoni presenti nella stanza accanto.

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Il libro – che è il più famoso dei 4 che ha scritto - è la storia della sua vita, dall’infanzia difficile ai primi reati, alle prime esperienze in riformatorio e poi in carcere, alla consolidata carriera di delinquente con una passione per la letteratura incombente e mai realizzata, fino alla vicenda del suo processo. È una narrazione che trasmette un senso di inevitabilità, un perfetto concerto di eventi esterni e scelte di Chessman coerentemente indirizzati verso l’epilogo drammatico che il lettore vive come ineluttabile.

3. Jack Henry Abbott - Nel Ventre della Bestia - Casa Editrice Derive Approdi

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Jack Abbott non ha avuto una vita facile: condannato per vari reati – tra i quali un omicidio - a una lunga pena detentiva, scrisse nel corso di una permanenza di quasi vent’anni in carcere questo capolavoro, che gli permise - grazie anche all’amicizia con Norman Mailer – di essere conosciuto e apprezzato come scrittore. Sei settimane dopo essere stato liberato compì un nuovo omicidio che lo riportò dietro le sbarre e dopo altri venti anni, nel 2002, al suicidio.

In questo libro, che è anche quello più conosciuto che ha scritto, egli ripercorre la propria vita di criminale e di recluso, ma soprattutto argomenta le proprie opinioni sulla società e il sistema giudiziario americano. Si tratta di un giudizio fortemente politicizzato, su posizioni radicali e anticapitaliste, per esprimere il quale Abbott cita Kant, Stendhal, Nietzche, Spinoza oltre naturalmente a Marx ed Engels.

Abbott è anche in grado di esprimere punti di vista particolarmente acuti sulla questione dei conflitti razziali, particolarmente sentita nelle carceri americane – nonché fedeli specchi della società - a partire dagli anni Settanta. Parlando della violenza praticata all’epoca dalle frange estremiste dei neri, spiega la diversa chiave di lettura che quella violenza assume se letta come fenomeno singolo uomo contro uomo (in cui mostra tutta la propria iniquità) o razza contro razza, in cui si dà invece un senso di riscossa a uno stato di iniquità.

E poi la critica al sistema carcerario americano, chiuso ottusamente in un’ottica retributiva della pena e fortemente orientato a una punizione ottusa e continua, alla delazione, alla violenza, e condannato dalle sue stesse caratteristiche a produrre criminalità anziché a fermarla: “nessuno è mai uscito migliore dal carcere….”.

Inoue Yasushi - Amore - Adelphi

Un libretto di poco più di 100 pagine, scritto e costruito in modo perfetto da questo formidabile scrittore giapponese del ventesimo secolo. A differenza del Fucile da Caccia, che era narrato al femminile, in questo libro la narrazione delle tre storie di amore che lo compongono è tutta dal punto di vista maschile. 

Si narrano, nell’ordine, i primi giorni di un matrimonio che si riveleranno essere anche gli ultimi, vissuti sull’onda di ricordi del passato e della progressiva distanza che si scava tra i neo sposi. E poi il ricordo di un vedovo del proprio matrimonio, difficile e duro, e del recupero nella memoria delle ragioni di un amore per la moglie morta. E infine il più bello, la vicenda di due aspiranti suicidi che – condividendo lo stesso progetto - si incontrano in un albergo vicino a una scogliera, e vinti dalla paura decidono di continuare a vivere. O forse, vinti dal coraggio, decidono di provarci.

Leggendo i libri di Yasushi sorge spontanea una domanda destinata e rimanere senza risposta: come riesce (non “riusciva”, gli scrittori in quanto tali sopravvivono alla morte, come le loro opere) questo scrittore a rendere gli stati d’animo, i pensieri e le azioni della scena che descrive così chiari e presenti al lettore? La sensazione, pagina dopo pagina, è quella di assistere quasi a una rappresentazione teatrale della vicenda, tanto essa è vivida.

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La risposta non c’è, probabilmente è un miscuglio di talento, sensibilità e tecnica, e sicuramente un ruolo importante lo svolge anche la cultura di provenienza. Ogni suo libro rimane in ogni caso un bellissimo mistero in cui immergersi.

Pier Paolo Pasolini

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Nella ricorrenza della sua morte, non proveremo nemmeno a commentare l’opera di un pensatore talmente innovativo che probabilmente deve ancora essere del tutto scoperto e sicuramente non ancora è del tutto compreso.

Riporteremo soltanto la sua formidabile poesia per gli scontri di Valle Giulia, quando nel 1968 gli studenti universitari si scontrarono con i carabinieri.

Per il pensiero comune dell’epoca erano gli studenti dalla parte della ragione, mentre i carabinieri erano soltanto i servi dei padroni.

Per Pasolini no, e probabilmente aveva ragione lui.

Questa poesia è una sfida al senso comune e dimostra una tale capacità di inversione dei ruoli che se diventassimo capaci ad applicarne un po’ alla nostra vita quotidiana, saremmo tutti un po' più liberi.

Sono passati 45 anni dalla sua morte, che ci ha sottratto tanta intelligenza e capacità di leggere la realtà con occhi diversi dal senso comune.

​

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II PCI ai giovani!!
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati...
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni

 

altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici.

Inoue Yasushi - Il Fucile da Caccia - Adelphi

Innanzi tutto siamo di fronte a un libro strutturalmente perfetto, narrato integralmente da un punto di vista femminile (pur essendo l’autore un uomo) la cui costruzione è geometricamente ineccepibile: un breve antefatto, e la successiva ricezione da parte dell’io narrante di tre lettere.

In queste tre lettere altrettante donne – due sorelle e la figlia di una di esse – narrano la medesima vicenda dai loro specifici punti di vista. È una storia d’amore durata tredici anni (il numero tredici ricorre nei racconti di Yasushi Inoue, così come il numero tre) e si è conclusa tragicamente con il suicidio di una delle tre donne.

La sensazione che accompagna per  tutta la lettura di questo libro è di perfezione: ognuno dei tre personaggi femminili narra la propria vicenda e motiva le proprie scelte comunicando un senso di necessità che sembra non averle dato scampo. Ognuna ha recitato il ruolo che il destino le ha consegnato, e per quanto si sia sforzata al meglio delle proprie possibilità non avrebbe potuto averne uno diverso.

La vicenda nel suo complesso consegna al lettore un senso di sottile desolazione per ciò che ogni persona nasconde, per il segreto della sua vera essenza non visibile dal prossimo. Un’anima segreta paragonata in modo felice da uno dei personaggi a un “serpente” che abita in stanze inavvicinabili dal prossimo, fuori dal potere e dal controllo del loro stesso proprietario.

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Albert Camus - La Caduta - Tascabili Bompiani

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“Potrei, egregio signore, senza rischiare di importunarla, offrirle i miei servizi?”. Comincia con questa frase il lungo monologo che riempie un breve libro (82 pagine), nel corso del quale un ex brillante avvocato parigino racconta a un oscuro interlocutore – in un bar del porto di Amsterdam – la propria parabola discendente (o meglio la propria Caduta) successiva a un atto di vigliaccheria di cui è stato protagonista. Parabola che lo conduce dall’essere lo spigliato protagonista di una vita spregiudicata ad assumere il ruolo dolente e senza speranze di “giudice penitente”.

Un capolavoro assoluto che il lettore attraversa rapito e interdetto fino all’ultima, tremenda frase, che suona a condanna senza appello di tutte le debolezze di cui è stato capace un uomo: “ma rassicuriamoci! Adesso è troppo tardi, e sarà sempre troppo tardi, per fortuna!”.

Letto e riletto varie volte, e ogni volta in grado di sorprendere e mostrare sfaccettature nuove e inattese, e di rendere preziosa l'esperienza della sua lettura.

Alan Bennett - Nudi e Crudi - Adelphi

Mister Ransome è un avvocato di successo, abituato a organizzare la propria vita nei minimi dettagli. Non solo la propria: anche la vita della moglie, spenta e succube consorte vissuta sempre all’ombra del marito di successo. Ma questo è l’antefatto, che inizia a cambiare già dalla prima pagina del libro, in conseguenza di un evento imprevedibile: la loro casa viene cioè svaligiata, o meglio, viene svuotata di tutto ciò che contiene. Tutto quello che li caratterizzava e che alla fin fine caratterizzava i loro rapporti di forza scompare. Come per magia i rapporti tra loro vengono liberati dalle catene del passato, e con costruzione mirabile dell’autore (che non a caso è prima di tutto attore e autore teatrale, uno che di tempi narrativi se ne intende) si capovolge anche il ruolo dei due coniugi. Il trovarsi “Nudi e Crudi” smaschera altre nudità, e pone paradossalmente la signora Ransome nella condizione di acquisire un ruolo pratico e consapevole nella soluzione del problema, che la mancanza di oggetti e zavorre del passato libera verso la leadership nella coppia. Al tempo stesso Mister Ransome viene svuotato dai simboli del proprio potere e rivela debolezze e dipendenze nemmeno sospettabili prima.

L’intero senso della vicenda si racchiude nella riflessione finale della signora Ransome: “quando ripensa al passato, il furto e tutto quello che è venuto dopo le sembrano una specie di apprendistato. Ora, si dice, posso incominciare”.

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Samuel Taylor - L'uomo con la Mia Faccia - Polillo Editore

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La collana “I Bassotti” si ripropone di valorizzare testi del genere Mistery, che ebbe molto successo nell’America tra le due guerre mondiali. Questo libro in particolare affronta un tema non del tutto nuovo nella storia della letteratura: la sostituzione di persona. L’elemento interessante è tutto nel modo in cui la trama viene costruita, con attenzione alla verosimiglianza della vicenda e quindi ai particolari secondari. E così fin dalle prime pagine si assiste all’odissea Chick Graham che in modo del tutto inaspettato trova un altro uomo che gli assomiglia in tutto e per tutto e che ha preso il suo posto non soltanto al lavoro, ma addirittura a casa sua, nella sua famiglia. Da lì lo smarrimento e la ricerca di una via per poter dimostrare al mondo l’inganno in cui è stato precipitato, con tutte le difficoltà date da il rifiuto – da parte di quel mondo – di credergli.

È singolare come l’arte, in questo caso la letteratura, riesca a proporre dinamiche reali in modo estremizzato: nella vita di tutti i giorni a chiunque di noi capita di vivere ruoli che percepisce come non propri. In questo libro il protagonista è letteralmente espulso dal proprio abituale ruolo e lotta per recuperarlo. Due vicende del tutto diverse su un piano letterale e narrativo, ma tutto sommato simili nel senso di estraneità che ci restituiscono.

Samuel Taylor, l’autore nato nel 1907 e morto novant’anni dopo, è stato un protagonista della cultura anche cinematografica americana, avendo contribuito alla sceneggiatura del film di Hitchcock “La donna che visse due volte”, nonché a sceneggiature di Walt Disney. Nonostante l’apparente distanza dei generi, il viaggio di questo scrittore ai confini tra realtà e fantasia ne rende particolarmente interessante l’intera produzione.

Jay Haley- Strateghi del Potere- Raffaello Cortina Editore

La domanda è ambiziosa: su cosa si fonda il potere? La risposta di Haley è di impronta squisitamente relazionale. Come egli dimostra nel corso del libro, il potere consiste nell’avere il controllo della relazione. Chi ha potere leva al proprio interlocutore l’iniziativa della relazione. Con questa premessa, ecco che l’accostamento di figure in sé diversissime che si succedono nel corso della lettura (lo psicoanalista, lo schizofrenico, addirittura Gesù  Cristo) assume una logica e un senso che non sarebbe altrimenti facile individuare. Ne consegue l’importanza centrale della comunicazione, che è un elemento cruciale per definire le regole della relazione. Non conta quindi il contenuto, ma il suo effetto pragmatico nel rapporto tra gli individui. L’ottica relazionale viene quindi attribuita anche ai problemi, che non si trovano all’interno delle menti dei singoli, ma sono il risultato, l’effetto della comunicazione interpersonale. Distribuzione del potere, comunicazione e problemi: sono questi gli elementi che accompagnano l’intero libro, in alcuni capitoli dal sapore fortemente paradossale e provocatorio (Gesù Cristo o lo schizofrenico, come si scriveva sopra), in altri – specialmente quelli relativi al ruolo del terapeuta – densi di spunti anche su un piano professionale.

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John Fante - Full of Life - Einaudi Stile Libero

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Un testo da manuale per capire in cosa consista la facilità nello scrivere. Fante riesce a cambiare registro narrativo con una capacità sconcertante, passando dalla ironia alla comicità alla tenerezza sconfinata nello spazio di poche righe.

La vicenda è quella della gravidanza e della nascita del primo figlio vissuta dal papà, tra i buffi cambiamenti di umore della futura mamma e i comportamenti inconsulti e paradossali del futuro nonno, il padre del narratore. Tra malintesi, situazioni spassose e litigi si arriva alle pagine 176 e 177 dell’edizione del 2009, che regalano una tale scossa emotiva che è tanto più forte in quanto inattesa alla luce delle pagine che precedono.

John Fante gioca con il suo lettore portandolo letteralmente dove vuole, insieme ai suoi quattro personaggi, futuri genitori, nonno ("il migliore muratore della California") e il vero protagonista "Full of Life" dell'intera storia, con l'inconfondibile leggerezza espositiva e la profondità narrativa in cui è maestro.

Murata Sayaka - La ragazza del Convenience Store - Edizioni e/o

La maggior parte della trama di questo libero di Murata Sayaka si sviluppa all’interno del “konbini”, piccolo emporio tipico giapponese, aperto 24 al ore al giorno e 365 giorni l’anno, in cui abitualmente lavorano studenti o “freeter” (splendido neologismo giapponese che unisce la parola inglese “free” a quella tedesca “Arbeiter”, a significare il lavoro precario che tanti ragazzi cercano prima di intraprendere una carriera lavorativa vera e propria), ma nel quale però Furukura – è questo il nome della protagonista – è occupata ormai da 18 anni senza avere alcun desiderio di cambiare la propria vita né sul piano lavorativo né sul piano personale.

Trentaseienne, non sposata, solitaria, con un lavoro precario, vista da tutti come problematica, Furukura contrappone agli altrui pregiudizi la propria visione del mondo ingenua e non conformista, con il solo risultato di apparire sempre più eccentrica e bislacca. A un certo punto prova, sul piano lavorativo e affettivo, ad avvicinarsi per quanto possibile a ciò che il mondo che la circonda definisce “normale”, e quindi inizia la convivenza con un uomo e abbandona il suo lavoro per cercarne uno più in linea con la sua istruzione e la sua età. Ma è solo un attimo: la vita a cui è abituata è ormai l’unica vita a cui appartiene, e alla quale ritornerà con docile fermezza.La particolarità di molti scrittori giapponesi è la propensione a descrivere i propri personaggi in un

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modo che può sembrare ingenuo per quanto è monocorde (chi è buono lo è in tutto, chi è ridicolo lo è in tutto ecc.), quasi si trattasse di fumetti per bambini o di film americani dozzinali. Murata Sayaka non fa eccezione, probabilmente per la sua formazione come scrittrice di manga.

Si tratta comunque di un libro gradevole, in particolare nelle parti in cui Furukura si racconta e racconta la propria vita e i propri bizzarri pensieri. Rimane un mistero la traduzione del titolo: perché è stato scelto il faticoso “Convenience Store” e non l’agile “kombini”?

R. M. Wilson - Eureka Street - Fazi Editore

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Il libro è interessante a partire dalla vicenda del suo autore, Robert Mc Liam Wilson, nato a Belfast (ora residente a Parigi), vita difficile con un passato di barbone. La trama si sviluppa nella precarietà alcolica di una città violenta e instabile della Belfast degli anni Settanta, e la vicenda è quella di un’amicizia interreligiosa tra ragazzi trentenni che regge nonostante la violenza e le bombe che – per rispondere alle prepotenze dell’oppressore – hanno seminato morte cieca tra centinaia di innocenti. Una violenza ottusa e indiscriminata, che viene definita (con immagine felice) come governata da “una ferrea logica da asilo nido: se Julie dà un calcio a Suzy, Suzy non restituisce il calcio a Julie, ma preferisce piuttosto dare uno schiaffo a Sally”.

La scrittura è brillante e ritmata per tutte le quattrocentocinquanta pagine del libro, con alcuni apici. Per esempio il capitolo 11, quindici pagine addirittura stupende che descrivono l’attentato di Market Street, un fatto realmente accaduto il 15 agosto 1998 e che causò 29 morti.

I protagonisti sono tratteggiati con brillantezza e ironia, dall’amico Chuckie, a sua mamma Peggy e ai suoi amori sorprendenti, alla accigliatissima Aoirghe (il cui nome al momento delle presentazioni ricorda al protagonista un colpo di tosse, da lì una serie di paradossi e scoppi di ostilità), ai tanti personaggi minori che costellano questo libro.

D. Szalay - Tutto quello che è un uomo - Adelphi

Prima raccolta di racconti di David Szalay, scrittore dalla doppia cittadinanza, canadese e ungherese (è poi seguito Turbolenza, pubblicato sempre da Adelphi). Si tratta di racconti, e come in tutti i libri di racconti ci imbattiamo in singole unità letterarie indipendenti l’una dall’altra. Però, nel leggere questi nove spezzoni di vita narrati tutti al maschile, la sensazione di un unico filo conduttore è costante. Sono storie di uomini che coprono le età  dalla adolescenza alla tarda vecchiaia. I nomi dei personaggi cambiano, come cambiano i contesti, le vicende, le occupazioni lavorative e le condizioni economiche. Ma sono racconti che potrebbero riguardare un’unica vicenda umana che si dipana lungo le illusioni, i successi, i rovesci e il declino di una esistenza. Che si tratti di adolescenti desiderosi e insoddisfatti, di uomini di grande successo o di grande insuccesso, di anziani disillusi o di vecchi impauriti, sembra che qualcosa di familiare risuoni sempre, man mano che le nostre parti, le più evidenti o le più nascoste, vengono sollecitate e sentono risuonare la propria eco.

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N. Lilin - Educazione Siberiana. Einaudi Super Et

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Molti i dubbi prima di iniziare questo libro, immaginato un po’ splatter un po’ comico, magari nell’inconsapevolezza del suo stesso autore. E invece nel leggerlo si entra un po’ alla volta in un mondo irreale. Certo, la narrativa ha esattamente quello scopo, di far entrare in altri mondi. In questo caso però non è un mondo nuovo per la sola vicenda narrata. Il mondo in cui si entra con questo libro ha regole nuove, ha modelli di comportamento nuovi, dialoghi nuovi, eppure lentamente tutto ciò acquista una propria plausibilità e un realismo inaspettati. La storia è quella di un ragazzino che cresce nella comunità criminale siberiana circondato da regole, affetti, insegnamenti propri di quella comunità. Non c’è una trama vera e propria, solo accadimenti e episodi (le piccole risse, la reclusione, la violenza sessuale su una giovane della comunità e la successiva vendetta del gruppo) che forniscono via via un quadro sempre più preciso, plausibile e convincente di un mondo che probabilmente non appartiene alla vita quotidiana del lettore ma che riesce via via a divenire sempre meno alieno dal suo modo di pensare.

L.Berlin - La Donna che scriveva Racconti. Bollati Boringhieri

La vicenda autobiografica di Lucia Berlin (tante città, tanti mariti, tanti lavori, tanti figli, tante passioni) può forse spiegare la vitalità prorompente che emerge dalle righe che scrive.

In questi 43 racconti non accade nulla di eclatante; si tratta di istantanee quasi sempre felici – beninteso sul piano letterario, felicità in senso stretto ce n’è poca – che tratteggiano vicende di vita nella dipendenza da alcool e sostanze, solitudine o compagnie sbagliate, lavori sottopagati e un senso di attesa costante e inappagata, che è poi quella che spinge il lettore a girare pagina dopo pagina. L’opinione del tutto personale è che nella letteratura statunitense il padre artistico di molti scrittori di racconti sia Raymond Carver. Lucia Berlin segue quelle tracce con eccezionale bravura e capacità.

Un ultimo dettaglio, per affrontare in piena consapevolezza le pagine di questo libro. Questa autrice è stata scoperta e valorizzata soltanto dopo la morte, e sono stati proprio questi suoi racconti che le hanno dato il successo che non ha avuto in vita.

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C. Whitehead - La Ferrovia Sotterranea. Edizioni Sur

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Vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2017, il libro si muove su tre livelli. Il primo è il livello narrativo nel senso stretto del termine, nel raccontare le vicende della prigionia, fuga, cattura e liberazione definitiva della protagonista, Cora. Il secondo piano è quello storico, con costanti riferimenti a vicende di sfruttamento e violenza fisica e morale nei confronti degli uomini e donne di colore negli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento. Infine c'è il livello onirico, con la vicenda incombente della ferrovia sotterranea che permetteva agli uomini e donne in fuga dalla schiavitù di viaggiare verso la libertà negli Stati del Nord.

Il tono narrativo è tenue, compassato e privo di eccessi. Non c’è modo migliore per raccontare vicende estreme come questa, la cui narrazione letterale è di per sé più che sufficiente per lasciare il lettore allo stesso tempo attonito e indignato.

Un libro la cui attualità - di questi tempi, e non solo negli Stati Uniti - lo rende ancora più interessante.

M. Selvini Palazzoli, L. Boscolo, G. Cecchin, G. Prata - Paradosso e Controparadosso. Raffaello Cortina Edizioni

Questo testo fondamentale della Psicoterapia Sistemica (Pietro Barbetta nella sua introduzione ipotizza che Paradosso e Controparadosso abbia per la Sistemica lo stesso significato di pietra miliare che ha avuto L'Interpretazione dei Sogni per la Psicoanalisi), ha ormai compiuto 45 anni, e racconta esperienze terapeutiche di quasi mezzo secolo fa. Eppure, se letto soprattutto a fini formativi, il senso di novità che comunica è profondo, e la sfida alle convinzioni cresciute e radicate nei luoghi comuni della vita quotidiana è costante. L'idea di base è che ogni gruppo umano è percorso da due tendenze contrapposte, in perenne, precario equilibrio: quella della omeostasi e quella del cambiamento. Al proprio interno ogni gruppo ha regole proprie e i membri che lo compongono sono fondamentalmente soggetti a esse. Non è pertanto il comportamento dell'individuo la causa della patologia (secondo una visione lineare causa / effetto), ma è tutto il sistema e i membri che lo compongono a soggiacere alle regole di relazione che si sono sviluppate nel tempo, quelle regole del gioco che detengono i vero potere. E che si possono affrontare con l'arma del Paradosso...

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Philip Roth - Pastorale Americana - Einaudi Super ET 

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Mi hanno sempre affascinato quelle rarissime persone che riescono per ore a tenere il palco da sole non facendo annoiare chi li segue. In questo libro (premio Pulitzer 1998) accade qualcosa di simile: il protagonista assoluto è Seymour Levov, “lo Svedese”, la cui vita viene ricostruita dall’io narrante non sulla base di ricordi o racconti di prima mano, ma di congetture, fantasie, piccoli indizi, ritagli di giornale. Manca quasi del tutto la trama, ma c’è piuttosto una sorta di monologo interiore, le riflessioni di una persona che vede progressivamente deragliare verso una rovina senza fine la vita apparentemente perfetta della propria famiglia, e dei vari nuclei famigliari che attorno a essa orbitano, quasi a simboleggiare il rabbioso declino dell’intera società americana: singolare a questo proposito come l’ultimo capitolo si svolga nella contemporaneità dello scandalo Watergate, che per gli Stati Uniti ha rappresentato a livello macrosociale una delle prove più insuperabili, almeno fino a quella drammatica che stanno vivendo ora.

È un libro per amanti della lettura, non semplice, non immediato. Non è un libro avvincente nel senso abituale del termine ma ipnotizza il lettore facendolo entrare in una esistenza drammatica e nei pensieri che l’accompagnano. Le ultime 60 pagine, l’intero ultimo capitolo, sono magistrali.

Niccolò Gianelli - Vangelo Yankee (America non è) - Round Midnight Edizioni

L’autore è Nicolò Gianelli, nato nel 1982 e morto nel 2015.

È la storia in 12 capitoli di un viaggio attraverso gli Stati Uniti nella quale vengono nominati altrettanti Stati, sempre con il prefisso “non è”: “Non è California”, “Non è Nevada”, “Non è Oklahoma”, ecc.; La struttura che lo caratterizza è singolare: i capitoli partono dal n. 12 e arrivano al n. 1. È una tecnica già utilizzata da altri, Palahniuk per esempio compone il suo “Survivor” partendo da pagina 289 e arrivando a pag. 1, ma là ci sono altre esigenze narrative, quello è un conto alla rovescia. Qui è una storia che si inizia a leggere dalla conclusione e arriva al suo inizio, quando cinque ragazzi arrivano negli Stati Uniti per un viaggio di cui il lettore conosce già premesse e sviluppi, anche se non tutti. Ogni capitolo si conclude con un consiglio musicale, la colonna sonora ideale per il lettore che va dai Kiss ai Joy Division, dai Clash a Iggy Pop.

Il libro è difficile da trovare. Si può provare a ordinarlo dalla casa editrice, ma non si troverà facilmente in libreria. E questo è un vero peccato.

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Paul Watzlawick - Il Linguaggio del Cambiamento - Un. Ec. Feltrinelli

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Si è parla sempre molto del concetto di “irriverenza” da parte di alcuni psicoterapeuti. Nella Sistemica questa caratteristica viene spesso associata a Gianfranco Cecchin, uno dei fondatori del cosiddetto Milan Approach. Eppure quello della “irriverenza” è un concetto sfuggente, che può assumere tinte vicine alla maleducazione, all’irrispetto o essere più accostato a una curiosità priva di remore. Se è quest’ultima l’accezione da dare al termine “irriverenza”, essa si individua in tanti scrittori sistemici, tra gli altri Mara Selvini Palazzoli, Jay Haley e per l’appunto Paul Watwlawick.

In questo breve testo viene affrontato il linguaggio terapeutico. Vengono approfondite le funzioni cerebrali legati agli emisferi sinistro e destro, le diverse lingue che tali emisferi sono in grado di percepire e il modo in cui il terapeuta può entrare in contatto con il proprio cliente per agevolare il cambiamento attraverso tre tecniche fondamentali (e interconnesse): utilizzando forme linguistiche proprie dell’emisfero destro, inducendo il blocco dell’emisfero sinistro e attraverso la prescrizione di comportamenti. Il riferimento è spesso alla terapia ipnotica, in particolar modo all’approccio di Milton Erickson. L’idea è che il linguaggio proprio dell’emisfero destro sia quello realmente in grado di agevolare il cambiamento, sia nella pratica ipnotica, sia in quella terapeutica in senso più ampio.

Tornando a quanto scrivevo all’inizio, ecco una citazione sulla psicoterapia: “ovunque, eccetto che nella psicoterapia classica, viene accettato come ovvio dato di vita che non esistono soluzioni perfette e raggiunte una volta per sempre, che i problemi possono ripresentarsi” (pag. 152). Un altro bell’esempio di irriverenza, relativa alla pretesa ingenua che il cambiamento debba essere sempre definitivo.

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